Sunday, 1 April 2007

Perché lo facciamo?

Clotaire Rapaille è un francese un poco strano, meglio, era un francese un poco strano poiché oggi è americano che più americano non si può.
Si tratta di uno psicanalista parigino che, lavorando con i bimbi autistici, ha profondamente compreso che l'imprint, definito da Konrad Lorenz come la combinazione dell'esperienza e dell'emozione che l'accompagna, rappresenta la chiave di volta per comprendere il codice di comportamento, quello vero e nascosto, per cui facciamo ciò che facciamo.
La vita è strana, e il nostro passa dall'attività universitaria alla consulenza Marketing per aiutare le multinazionali a vendere i propri prodotti in giro per il mondo rispettando il Codice culturale del singolo paese onde evitare brutte figure che, in questo caso, significano disastri commerciali.
Oggi, il dott. Rapaille è a capo della Archetype Discoveries Worldwide, ed è consulente di molte delle prime cento aziende americane e di altre multinazionali.
Il metodo sviluppato, che ha portato a una carriera prestigiosa e a una florida azienda di consulenza, prevede l'identificazione del codice culturale relativo ad un determinato tema: l'introduzione del caffè in Giappone, piuttosto che la ragione dell'obesità dilagante negli Stati Uniti e nel mondo occidentale, individuandolo attraverso l'imprint. Questa identificazione avviene anche attraverso una vera e propria seduta psicoanalitica dove, durante la terza ora e avendo raggiunto lo stato di rilassamento che precede il sonno, gli intervistati ritornano ai loro ricordi più profondi dove si è creato l'imprint.
Solo avendo compreso il codice per lo specifico imprint è quindi possibile entrare in sintonia con il suo significato e quindi costruire una coerente strategia di Marketing e comunicazione capace di farsi capire da una determinata cultura.
Il suo ultimo libro offre un ampio ventaglio di esempi che vanno dai codici per la bellezza e per l'essere obesi ai codici per la casa e la cena.
Il Marketing etnografico nell'utilizzare gli strumenti dell'antropologia e della psicoanalisi si presenta con molte facce e quella del dott. Rapaille è sicuramente una delle più interessanti anche se alcune analisi sull'Italia lasciano un poco perplessi; ma forse ha ragione, forse..

Monday, 26 March 2007

Dalla comunicazione di massa alla collaborazione di massa

In altre parole, il crowdsourcing. Cioè quella forma spontanea di aggregazione collaborativa che consente a molti utenti di interagire fra loro per conseguire un obiettivo comune, ognuno portando il suo contributo individuale.
Wikipedia è forse l’esempio più eclatante di questo fenomeno. Centinaia di migliaia di individui di etnia, età, sesso e censo differenti che senza conoscersi redigono voce dopo voce un’enciclopedia affidabile tanto quanto la Britannica. Non è poco.
L’interessante articolo sul Crowdsourcing che troverete nel tag alla fine di questo articolo affronta il fenomeno elencando altre tipologie di crowdsourcing oggi operative in rete.
Indica inoltre le tre categorie base di interazione possibile secondo questo modello.

1) Creazione (Wikipedia)
2) Previsione di fatti e/o dati (Yahoo Buzz)
3) Organizzazione (i ranking di Google stabiliti in base al numero di links alle singole pagine.

Non voglio aggiungere commenti al già esaustivo articolo che leggerete.
Mi preme però riflettere su questa tensione del pubblico perché è senza dubbio una pulsione spontanea e creativa (le persone di loro iniziativa creano qualcosa che prima non c’era), che genera una dinamica fattuale (concorre a un risultato pratico), applicata alla realtà (affronta una tematica concreta, qualunque essa sia).
Sono tutti elementi nuovi, se pensiamo che si viene da un mondo, quello della comunicazione classica, in cui ogni comportamento non è spontaneo ma viene stimolato (messaggio) ai fini di un atto razionale (acquisto) e non creativo, senza che all’utente venga chiesto niente altro.
In altre parole e nella maggior parte dei casi la vecchia modalità chiede alle persone di propendere per una compera. Fine.
Cosa esse pensano, cosa vorrebbero, quali cose amano e quali no ecc. ecc. sono elementi non richiesti.
E’ evidente a questo punto che ragionare in termini di Crowdsourcing anche per obiettivi aziendali e/o di comunicazione libererebbe nuove energie del pubblico.
Creerebbe nuove forme di empatia marca-consumatore che –senza dubbio- lo gratificherebbero molto generando inedite forme di fedeltà alla brand.
Addirittura di collaborazione con questa.
Certo, il passo da compiere è sempre lo stesso: scendere a un livello paritetico con i propri consumatori, e non restare limitati a un dialogo dall’alto in basso come succede oggi con l’advertising classico. Passo non facile da compiere per molte aziende di questo Paese. Timore del confronto, perplessità di gestione dei feedback, le ragioni sono tante.
Davanti a tante possibili obiezioni, metto invece un motivo per farlo.
Immaginate migliaia di persone che oltre che comprare il prodotto lo commentano, ne evidenziano fatti positivi, sottolineano aspetti migliorativi magari proponendo essi stessi le soluzioni. Un salto copernicano rispetto all’oggi.
C’è qualcosa di questo nella nuova FIAT 500, quando chiede agli utenti di lavorare sulla personalizzazione della vettura.
E ci sono altri casi molto più completi di crowdsourcing, in cui le aziende hanno creato terreni di scambio col proprio pubblico godendone innumerevoli benefici sia di immagine che di popolarità, che di risultati pratici.
Le possibilità operative per un’azienda che volesse aprirsi a queste modalità risiedono nelle 3 tipologie di Crowdsourcing elencate sopra: Creazione, Previsione di fatti e/o dati, Organizzazione.
Su queste basi le possibilità sono davvero tante.
Il percorso di apertura verso una piena collaborazione col proprio pubblico può essere graduale, anzi deve esserlo.
E spesso e volentieri quelle che all’inizio sembrano rischi insormontabili scompaiono rapidamente in corso d’opera.
Il motivo è semplice: la gente ama le marche. E ama esserne coinvolta.
Sono le marche, a volte, a non rendersi conto di questo grande potenziale.

Tag: http://www.readwriteweb.com/archives/crowdsourcing_million_heads.php

Maurizio

Saturday, 24 March 2007

Wikinomics

Wikinomics (How mass collaboration change everything), il nuovo libro di Don Tapscott, già autore di un altro lavoro di successo "The Digital Economy", e di Antony D. Williams, rappresenta contemporaneamente un punto di arrivo, una riflessione sullo stato dell'arte e un punto di partenza.
Un punto di arrivo della discussione che negli ultimi dieci anni si è dipanata intorno allo sviluppo dell'Open Source e del modello economico-relazionale che da esso deriva applicato al software, una riflessione su come questo modello sia stato applicato ad altri campi più o meno limitrofi (wikipedia per tutti) e un punto di partenza sulla migrazione di questo modello in settori molto più distanti dal campo di applicazione originale.
Nell'indicare il Being Open, il Peering, lo Sharing e l'Acting Global come i principi fondanti della Wikinomics i due autori riconoscono implicitamente, e in parte esplicitamente, il ruolo fondante avuto da un visionario come Richard Stallman e da un irriverente (intellettualmente parlando) Linus Torvalds. Senza di loro sarebbe stata un'altra storia e anche il web, forse, si sarebbe sviluppato in un altro modo. Grazie a loro abbiamo avuto il sistema operativo GNU/Linux, il web server Apache, il DB MySQL, il browser Firefox e le decine di migliaia di prodotti del software Open Source, frutto del lavoro collaborativo di centinaia di migliaia di sviluppatori che hanno accettato di mettere a disposizione il codice da loro scritto, di collaborare pariteticamente, di condividere gli sviluppi attraverso un concetto di licenza rivoluzionario agendo a livello mondiale.
Il cuore del libro ruota poi sull'analisi di sette modelli di collaborazione di massa che hanno sfidato altrettanti tradizionali modelli di business. Una vera e propria analisi dello stato dell'arte, affrontando anche alcune domande che costantemente ritornano sul tavolo della discussione: questo nuovo paradigma economico-relazione -organizzativo può essere utilizzato dalle aziende? Come? Come si può guadagnare operando al'interno di tale modello? Quali sono i limiti di questo modello? Sono superabili questi limiti? Chi pagherà le conseguenze di questo modello? Chi otterrà i maggiori vantaggi? Assistiamo alla vittoria del comunismo o degli uomni liberi?
Il libro si chiude, coerentemente, con un invito a raggiungere gli autori all'indirizzo http://www.wikinomics.com/, in una paritetica attività di produzione di una guida definitiva alla strategia del XXI secolo (il punto di partenza).


Friday, 23 March 2007

Web livesearch

Questa versione di alltheweb, utilizzabile per ora solo con Firefox, presenta un interessante aiuto lessicale nella formulazione delle domande, valido nel definire meglio l'ambito della ricerca e nell'ottenere quindi risposte più pertinenti.

Wednesday, 21 March 2007

LA TV E L'ARTE DELLA PILLOLA

Ieri sera guardavo la TV e, a un certo punto, ho iniziato a fare zapping come un pazzo sui canali offerti da SKY. Mi sono reso conto di botto che una percentuale spaventosa delle trasmissioni in onda (parlo dei vari Sky vivo, GXT, Play House Disney, ecc... ) hanno una caratteristica comune, al di là del contenuto: sono fatte di pillole. FRAMMENTAZIONE…
Che si tratti di gossip, di vita reale, di guinnes, di scienza, di calcio o di quello che vuoi, tutte queste trasmissioni non sono caratterizzate in modo significativo da una linea temporale, insomma… non ti interessa sapere cosa è successo prima o cosa succederà dopo.
I servizi non superano, orologio alla mano, i 4 minuti. Ma quei 4 minuti, quando ci capiti, ti paiono imperdibili. Paradossalmente si verifica che se un canale ha un palinsesto fatto da (ad esempio) Guinness dei primati, real tv, reparto maternità, ecc… il telespettatore non ha soluzione di continuità, quello che guarda sono “celle” da 4 minuti ( _ ) e non il programma x.

Insomma, le trasmissioni tradizionali sono rappresentabili graficamente con una linea retta,
mentre quelle di cui sto parlando così:
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

con la chiara conseguenza che il telespettatore può collegarsi alla trasmissione in qualunque momento, senza interesse per ciò che è accaduto nella “cella” prima o per ciò che accadrà nella “cella” successiva.
Ma dato il fatto che i canali che propongono schemi simili (ripeto, al di là del contenuto) sono numerosi, ci si trova davanti a una situazione di questa natura:
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

dove la visione del telespettatore, a seconda dei suoi interessi, può potenzialmente essere così (celle rosse dov’è il telespettatore)
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

Se ogni cella è di 4 minuti, il telespettatore, in poco meno di 2 ore, ha cambiato canale 9 volte quasi a crearsi una trasmissione personalizzata trasversale ai canali, la seguente:
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

Lo schema grafico corretto dei canali, però, è il seguente:
_ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _
_ _ _ _ _]_ _ _ _ _ ] _ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _
_ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _
_ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _ _ _] _ _ _

dove le linee verticali rappresentano l’inizio di un nuovo programma, cioè un “accorpamento tematico” di celle.

Questa nuova modalità di fruizione della TV mi risolve la serata SENZA IMPEGNARMI: inizio quando voglio e smetto quando voglio, intanto… non mi perderò nulla.
Mi “faccio” 2 celle di wresling, 3 celle real tv, 1 cella di parti dal vivo, 2 celle di gossip, 3 celle di calcio, 2 di news e buona notte, quando ho sonno vado a dormire interrompendo la catena senza perdermi nulla. Rassicurante…

CONSIDERAZIONI

1) La pubblicità sparisce… al massimo è uno stimolo per passare ad un’altra cella.
2) Per loro natura questi contenuti possono essere riorganizzati in modo modulare e distribuiti da altri media (web e cellulare) senza problemi.
3) Quindi non è più una follia comprare contenuti televisivi da sparare su altri media.
4) Molti di questi contenuti sono realizzati a basso costo (amatoriali).
5) Forse non è vero che la diffusione del satellitare e del digitale ipertargettizzerà gli utenti sui canali. E’ più probabile una visione trasversale ai canali. La fedeltà al canale c’è solo se ha già organizzato celle perfettamente aderenti alle mie aspettative. Un esempio: Playhouse Disney, target bambini piccoli, 24 ore di celle da 4 minuti (o poco più) fatte di cartoni, canzoncine, suggerimenti e giochini ripetute in modo circolare.

Una considerazione a parte va fatta circa i concetti di ASPETTATIVA e ATTENZIONE.
Molte trasmissioni tradizionali sono fatte in modo più o meno modulare: La Domenica Sportiva e il TG possono essere degli esempi storici. Effettivamente posso vederne anche solo un frammento senza che questo perda la propria logica. Ciò che distingue queste trasmissioni da quelle che descrivevo prima sono proprio l’aspettativa e il tipo di attenzione. Quando guardo la Domenica Sportiva ho un livello di attenzione medio, che cresce verticalmente durante il servizio sul Toro e sulla partita più importante della giornata calcistica. Quindi quando guardo la DS ho un’aspettativa: vedere il servizio sul Toro e quello che riguarda la partita più importante della giornata (che, ahimè, non sono mai lo stesso servizio). Se mi collego alla DS quando uno di questi due servizi è già stato trasmesso, la mia aspettativa, o parte di essa, è stata delusa. Ho mancato un APPUNTAMENTO!
Con le “nuove trasmissioni” questo non accade, perché non ho aspettative, quindi non ho appuntamenti.
Io guardo 2 celle di Guinness dei Primati, una potrà piacermi più dell’altra, ma non avrò mai la sensazione di essermi perso qualcosa.

Monday, 19 March 2007

The avatar as consumer, The Ethnography Marketing as Marketing

The avatar as consumer è il titolo dell'articolo pubblicato da Paul Hemp sull' Harvard Business Review nel maggio del 2006.
Questo articolo ha offerto lo spunto per una tavola rotonda in cinque puntate svoltasi nel giugno del 2006 su Second Life.
L'autore, presente al primo incontro, riassume così il proprio lavoro: "I mondi virtuali e i giochi rappresentano una realtà inesplorata per gli uomini marketing delle aziende del mondo reale e gli avatar sono, in qualche modo, consumatori distinti rispetto ai propri creatori. Non stiamo quindi parlando del dove di una nuova frontiera del Marketing ma del chi".
In realtà, l'articolo inizia sostenendo che nel cyberspazio gli avatar rappresentano la manifestazione dell'alter ego di ciascuno di noi, quell'alter ego sul quale da sempre lavorano gli uomini della pubblicità.
Se così è, gli ambienti virtuali sono lo spazio ideale per il Marketing etnografico che si distingue per l'applicazione delle tecniche di analisi dell'Antropologia nell'osservazione e nello studio dei comportamenti dei consumatori nel proprio ambiente naturale.
Si tratti di una tecnica estremamente interessante ma dispendiosa in termini di tempo e di risorse.
Negli ambienti virtuali, però, questa disciplina trova il proprio territorio ideale di lavoro.
Forse il modo migliore per studiare il nostro alter ego.

Mamma, ho frullato l'aereo.

I bambini si divertono a fare disastri, è un fatto assodato. A www.willitblend.com il merito di aver dimostrato che la cosa piace molto anche agli adulti.
Il potere d’attrazione -dissacrante e ipnotico- che esercita un signore in camice che distrugge un Ipod o una mazza da golf frullandoteli sotto gli occhi è assoluto e devastante. Divertente, anche. Virale, soprattutto.
Complimenti perciò alla prova prodotto, efficacissima, e al talento di chi è riuscito a trasformare un approccio estremamente razionale (ti faccio vedere come funziona il mio apparecchio) in un momento spettacolare ad alta emozione e condivisibile fa utenti.
Il sito in questione ha i suoi mesi di vita ormai, il che –tradotto in tempo offline- è come dire che ha qualche anno di esistenza. Se ne stiamo parlando non è dunque per segnalare una novità. Ne parliamo perché lo stesso approccio ha fatto recentemente proseliti: http://www.josplumbing.com/.
Qui lo spettacolo è assicurato da un altro potenziale disastro casalingo che vede coinvolti oggetti di ogni genere infilati giù per lo scarico del water. D’altra parte il prodotto è proprio quello ed è ovvio che l’obbiettivo sia -anche in questo caso- dimostrarne la funzionalità in condizioni estreme.
Stessa struttura di will it blend con però una bella donna a fare da presenter, e una modalità interattiva leggermente diversa. Ma il concetto è lo stesso.
Ed eccoci alle conclusioni.
Questo percorso dimostra ancora una volta che per il web la cosiddetta “idea” fa spesso rima con il concetto di “modello”. Cioè qualcuno inventa una meccanica, questa fa successo e in breve arrivano i cloni.
Non è una cosa negativa in senso assoluto. Se la replica è egualmente (o più) spettacolare del suo paradigma di partenza, l’intenzione coglie nel segno e fa il suo lavoro.
Ma, e qui sta il limite, il processo non può ripetersi per molte volte perché a ogni clone la cosa perde forza in misura esponenziale.
Il terzo clone di will it blend, se arrivasse, presumo avrà vita ancora più dura dell’astuto water che ha colto l’attimo con buona efficacia.
Replicare ha senso, dunque, ma con estrema parsimonia e molta fantasia.

Maurizio